giovedì 6 gennaio 2011

Open source architecture: a question mark

L’open source è un processo produttivo e di sviluppo che promuove l’accesso alla sorgente del prodotto finale, al fine di migliorarlo e di adattarlo alle proprie esigenze. Basato sulla collaborazione e sulla condivisione di saperi tra diversi utenti, l’open source si è affermato nel campo del software e dell’hardware, ma esistono applicazioni analoghe in molti altri campi. Esiste una possibilità di applicazione del concetto di open source nel campo dell’architettura? e se sesiste, attraverso quali modalità si può attuare? L’obiettivo di questo post è di capire ciò che si potrebbe intendere per architettura open source e presentare alcuni esempi di studi eccellenti che fanno al caso nostro

Piccola introduzione: questo argomento qua non si può evadere in un solo post, infatti questo post qua dovrebbe diventare la continuazione del terzo post che però era scapestrato allora chissà che non si riesca a raddrizzare il discorso e ad aggiustare la mira... se non ci riesco, amen, se non sono chiaro, ri-amen..

Piccola premessa: Viviamo strani giorni

Alla soglia del terzo millennio ci si accorge che più della metà della popolazione mondiale vive in una metropoli e di questa metà circa il 30% vive in uno slum (o baraccopoli per noiartri). Il problema non è tanto di numeri e proporzioni (grandi città = grandi problemi?), quanto piuttosto un problema umanitario (direi che non è esagerato definirlo tale): la città non è molto spesso in grado di garantire benessere a tutti i suoi abitanti, se si parla di metropoli o megalopoli questo è un fatto quasi certo. Volendo trovare delle cause di tutto ciò possiamo sintetizzare dicendo che dalla fine del XVII secolo in poi si è assistito ad un lento e progressivo spostamento della popolazione dalla città verso la campagna (e non viceversa) dovuto a fenomeni politici sociali ed economici diversi che potremmo riassumere nel grosso calderone della rivoluzione industriale e dello sviluppo capitalistico. Effetto di questo spostamento (dicesi inurbamento che rispetto al ciclo di vita di una città è stato un fenomeno piuttosto repentino, con alcuni picchi, pensiamo solo all’inurbamento delle città italiane dal boom economico in poi) è che la città si è trasformata da un luogo equilibrato sotto diversi aspetti ed in generale in un certo grado di sintonia con l’ambiente esterno (quello al di fuori delle mura, per intenderci) in un luogo generalmente insostenibile ed in casi particolari in un luogo sovraffollato, insalubre, pericoloso, ghettizzante, alienante, povero e così via....
Dunque l’istituzione città, dopo anni di onorato servizio, non riesce a stare dietro all’avanzante modernità ed alle sue istanze e si trova quindi in una crisi cruciale che mina la sua stessa esistenza ed il corretto svolgimento delle sue funzioni.

Don’t panic

Che problema c’è? Riconosciuta l’esistenza del problema basta trovare delle soluzioni ed il gioco è fatto. Senonché le soluzioni proposte sono parecchie, tendenzialmente discordanti e difficilmente verificabili. Io penso che la questione sia questa: bisogna risolvere il problema abitativo di milioni di persone che vivono nelle città in maniera che definire non decorosa è eufemistico. La soluzione potrebbe essere riassunta in questi termini: se una persona qualunque avesse un problema legato al suo habitat e se questo habitat corrispondesse alla città, sarebbe molto comodo poter risolvere il suddetto problema senza spendere molte risorse, basandosi sull'esperienza di altri che hanno avuto lo stesso problema ma giungendo ad una soluzione costumizzata (e non copiata e standardizzata, rischiando l'effetto banliue per intenderci) che soddisfa le necessità ed è facilmente fruibile (il tutto nell'ottica della sostenibilità urbana, of course). Facile no? Dare una base solida a chiunque abbia bisogno di una abitazione lasciando che sia egli stesso a svilupparla secondo le sue necessità, minimizzando i costi per la collettività ed aumentando i benefici in termini di soddisfacimento e benessere della soluzione finale. Molto interessante ed utopica come idea, potenzialmente ingovernabile nella sua realizzazione (per come l'ho descritta la si può anche immaginare come una enorme periferia americana sprawlizzata e tristanzuola piuttosto che un modello dinamico, efficiente, economico e sostenibile...)

Architettura Open Source: questa sconosciuta

Quindi: quali soluzioni pratiche (sostenibili e perfette sotto ogni punto di vista, come Mary Poppins) abbiamo per le mani nel mondo dell'edilizia e dell'urbanistica (mondi strettamente legati alle problematiche urbane)? E soprattutto quale approccio può essere adatto a diversi tipi di habitat urbano (e non solo)? Se siete dei buoni detective, la risposta la immaginate già... ma ovviamente l'architettura open source!
Procediamo però per gradi. Si è detto che esiste un modello di sviluppo di varie entità (io ho presente software e hardware, ma potrebbero essercene altre) definito come “open source” che si basa su istanze semplici, economiche, per lo più sostenibili e che permette di soddisfare parecchie necessità, anche le più disparate (se parliamo di software: sistemi operativi, giochi, browser, programmi di grafica, programmi per ufficio etc etc; se parliamo di harware: hardware per computer tipo arduino, open pc, ma anche protesi e altri esempi che non so ma di sicuro ci sono). Questo modello di sviluppo è basato sull'individuazione di una sorgente e sullo sviluppo della stessa secondo le necessità degli utenti, sviluppo che si basa principalmente sulla condivisione e sulla partecipazione. Questo modello risulta essere nel mondo del software particolarmente fortunato ed efficace. La domanda che mi pongo è la seguente: è possibile trasferire il modello di sviluppo open source alla città e nel particolare all'edilizia? Se sì, quali sono gli elementi più importanti da prendere in considerazione, come si procede nella sua strutturazione, come si può controllare il processo di sviluppo al fine di evitare dannose aberrazioni?
Poniamo che la risposta alla prima domanda sia sì, e che questa sia una buona notizia: un modello funzionante che ha diversi campi di applicazioni può risultare efficace anche in un campo come l'architettura. Qualcuno si chiederà: “Che necessità c'è, non basta ciò che già abbiamo?” Probabilmente basta (secondo me no), ma il modello open source, essendo basato sulla condivisione (e sul passaparola) è un modello che si può affermare velocemente e magari può risolvere problemi su larga scala (e lo ha dimostrato nel campo del software).
Passiamo alla seconda domanda, di cui non ho una risposta. Ma non ce n'è bisogno, perché già esistono alcuni fulgidi esempi che possono fare al caso nostro, tra cui:

-il linguaggio dei pattern (a pattern language);
-gli edifici residenziali aperti (residential open buildings);
-le utopie urbane (yona friedman in primis ma anche altri);
-le occupazioni di vario genere (hausprojekt, cortiço e lotte per la casa in genere);
-abitazioni informali di vario genere e titolo (slums, favelas, bidonville, campi nomadi etc);
-l’incremental housing;
-sistemi costruttivi di vario tipo (che permettano una certa flessibilità ed una certa facilità di realizzazione e posa in opera, in generale penso ai sistemi di autocostruzione);
-chi più ne ha più ne metta;

Adesso vediamo brevemente di cosa si tratta e perché questi esempi possono essere considerati pienamente (o anche parzialmente) esempi di applicazione del modello open source in architettura (la descrizione che segue non è affatto esaustiva, penso che in futuro ci saranno dei post specifici corredati da immagini che si occuperanno di approfondire le varie questioni sopra elencate):

Il linguaggio dei pattern (a pattern language)
Direttamente dalle ricerche del prof. Arch. Christopher Alexander il linguaggio dei pattern (A pattern language, 1977), ovvero un simpatico compendio di elementi (pattern) che uniti secondo necessità possono portare alla soluzione di problemi di ordine urbano ed architettonico, l'esempio pratico è ben esposto in The production of houses, 1985 sempre a firma del sopracitato Alexander, che illustra molto bene l'uso dei pattern, la componente partecipativa (necessaria allo sviluppo del progetto open) e la componente costruttiva (relativa ad un sistema di autocostruzione)

Gli edifici residenziali aperti (residential open buildings)

Legati perlopiù all'Open Building Movement, si basano sugli studi del professor N. John Habraken (a partire da Supports, an alternative to mass housing, 1962) nei quali viene proposta una sostanziale divisione tra “supporto” o infrastruttura, opera del progettista, ed equpaggiamento interno di un edificio residenziale, lasciato perlopiù all'iniziativa dell'utente finale.

Utopie urbane (Yona Friedman & friends)
Qua mi trovo su un terreno non facile e che conosco anche poco.... Meglio! Ci sarà un sacco di roba da imparare! Principi di autopianificazione ma sopratutto considerazioni circa il ruolo della architetto... da studiare meglio, mi rimando a settembre da solo.

Le occupazioni di vario genere (hausprojekt, cortiço e lotte per la casa in genere)
Edifici occupati dai loro abitanti, tendenzialmente sovraffolati, che svolgono la funzione di residenza senza essere stati pensati per esserlo. Vi sono tantissime tipologie diverse, dai centri sociali occupati (ed anche qui vi sono differenti tipologie) ai cortiço agli edifici pubblici occupati da famglie senza casa o da persone senza fissa dimora. L’edificio perde le sue funzioni originarie e si riduce a semplice involucro ospitando di volta in volta persone e funzioni differenti, che contribuiscono alla trasformazione stessa dell’edificio.

Incremental housing
Ovvero l’abitazione evolvibile (che non so neanche se è una parola che esiste, diciamo allora abitazione che si può evolvere), da una base, un nucleo (o un embrione, chiamatelo come volete) di abitazione iniziale, necessario a soddisfare i bisogni abitativi più stringenti, si può sviluppare un’abitazione completa e degna. Semplice no? Si tratta di un edificio (o insieme di edifici) in stato embrionale, di cui è già progettata la loro evoluzione planivolumetrica. Se questo incremento in termini di sagoma e tipologia è pressoché definito non lo è in termini di finiture e affini.
La spiegazione ha più successo se accompagnata dai seguenti links:
spiegazione in english
incremental housing in chile by elemental
incremental housing in India

Sistemi costruttivi di vario tipo, genere e grado
La terra cruda ad esempio, in alcune arti del mondo può essere un materiale da costruzione a basso costo che non necessita di tecnologie particolari e nemmeno di brevetti... le costruzioni con materiali locali in genere, oppure sistemi costruttivi modulari di semplice realizzazione, materiali ibridi... è un discorso un po’ ampio e che concerne molto la tecnologia dell’architettura....

Sconclusioni

Ok, la panoramica generale è stata fatta, qua c'è materiale per una vita di studi, nel prossimo numero si tenta di avvicinarsi al nocciolo della questione, speriamo di riuscirci!

3 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  2. Ciao Andrea, complimenti per il blog.

    Su Nature è recentemente uscito uno studio di Luis Betancourt e Geoffrey West (A unified theory of urban living) sul quale abbiamo condotto una lunga discussione nel nostro gruppo P2P Urbanism. Trovi qui una versione allargata e piuttosto agiografica: http://www.nytimes.com/2010/12/19/magazine/19Urban_West-t.html?_r=3&pagewanted=all

    Noi ci rifacciamo soprattutto ad Alexander, non tanto ai pattern, quanto alla sua visione generale sulla relazione tra spazio e vita. Tuttavia il problema è complesso, e lo studiamo da diverse angolazioni: teoriche (la biourbanistica), pratiche (p2p urbanism), disseminative e difensive contro il disastro che intanto che pensiamo comunque avanza (Gruppo Salingaros).

    Perché non collaboriamo?

    Ciao,

    Stefano Serafini
    www.grupposalingaros.net

    RispondiElimina
  3. Ciao stefano, grazie del commento! Ho letto solo ora gli articoli, ti ringrazio molto per averli postati, ovviamente sono molto interessanti. Quello che mi piacerebbe affrontare è un discorso forse più architettonico che urbanistico, incentrato più sul progetto che sulla città, ma in realtà le due cose non escludono a vicenda!

    RispondiElimina