sabato 16 maggio 2009

Gli spazi del racconto: le BCT

Giovedì 23 aprile a Torino si è tenuto, nell'ambito della Biennale Democrazia, l'incontro dal titolo “I luoghi urbani della democrazia”, realizzato dalla Fondazioni dell'Ordine degli Architetti di Torino. In questo articolo potete trovare il resoconto dell'incontro mentre qui il testo del bando per poter partecipare. Con il dovuto ritardo possiamo dire che avremmo forse aggiunto le biblioteche.

Biblioteche everywhere

Dalle tavolette di argilla del palazzo reale di Sardanapalo fino ai volumi della biblioteca nazionale di Francia realizzata da Perrault ci accorgiamo che le biblioteche, oltre a caratterizzare tutte le epoche storiche, sono anche un po' dappertutto. Sono un po' come il prezzemolo, puoi far finta di non conoscerle ma si insinuano lo stesso nei tuoi percorsi: così conosciamo la New York Public Library da quando è uscito Ghostbusters, la biblioteca del Congresso da quando Hoffman e Redford hanno cominciato a frequentarla ai tempi de Tutti gli uomini del presidente o la biblioteca non meglio identificata con Sean Connery che indaga ne Il nome della rosa.

Lo spazio del Racconto

A ben vedere lo spazio del racconto dovrebbe essere il libro, quell'oggettino da sfogliare guardando il quale si comprende subito il significato di valore estrinseco. Eppure tanti oggettini insieme formano una cubatura di non indifferente portata (quando c'erano le tavolette di argilla era comunque peggio). La risposta umana è la creazione e l'organizzazione di un luogo in cui il racconto possa dimorare in attesa di tornare a vivere nella mente di qualche lettore. Il contenitore dei contenitori del racconto: la biblioteca.
Ma non solo contenitore, è anche il luogo in cui i libri divengono protagonisti senza esporsi, dormienti in docile attesa di essere sfogliati e letti, edizioni economiche che dividono gli scaffali con volumi brossurati con tavole a colori, i momenti più alti della letteratura costretti a riposare a fianco dei bestsellers che si vendono in edicola. Qualche libro, esasperato dai vicini burini ogni tanto sparisce (poi tendenzialmente ritorna), qualcun altro va a farsi un periodo di vacanza in rilegatura. Ci piace immaginare che sia durante la notte che la biblioteca si anima, che si accendano diatribe letterarie senza esiti tra feuilleton e romanzi picareschi, che i romanzi di fantascienza si inseguano tra gli scaffali con i romanzi fantasy, che i fumetti urlacchino suoni onomatopeici per svegliare i romanzi storici che continuano a dormire, che i libri gialli raccontino ai libri per bambini storie d'orrore per spaventarli e che gli Armony amoreggino con i libri di poesia tra gli scaffali.
A parte le fantasiose visioni in biblioteca il racconto in effetti non si anima, non prende forma (come in teatro o al cinema) ma vive sonnolente tra le pagine ingiallite e le copertine sgualcite, si nasconde al fondo di uno scaffale, riposa tra i suoi simili senza particolari ambizioni. E lo spazio dei libri e dei loro racconti è un luogo per certi versi ancora arcano, dominato dal silenzio e da regole non scritte, è il luogo della ricerca e della condivisione.

La condivisione reale

Nell'epoca di internet condivisione è ormai un concetto più che assodato, ma essa si esprime perlopiù in spazi virtuali, spazi che non esistono in cui le persone si incontrano. La biblioteca è in questo senso è lo spazio della condivisione reale, l'esatto contrario di quella virtuale, è uno spazio fisico in cui si condividono molti saperi ma nel quale gli utenti non si incontrano, o se si incontrano non si calcolano, la biblioteca è lo spazio sì della condivisione ma non certo del confronto o dell'incontro (come piazze e mercati). È anche uno spazio che rappresenta la democrazia (si pensi ai libri accostati non in ordine di importanza senza alcun tipo di trattamento preferenziale) uno spazio in cui si è liberi di scegliere il proprio libro, condiviso da tutte le fasce di età e con wikipedia l'ultimo baluardo del sapere libero.

A Turin experience: le BCT

Raccontare i luoghi del racconto si fa sempre più complicato, eppure le biblioteche sono anche architetture e come tali caratterizzano la città. Le biblioteche torinesi sono anche loro degli edifici dormienti, sornioni, prendono un po' d'aria nei parchetti della città come i pensionati, si inseriscono in vecchi edifici impreziosendoli. Sono luoghi da visitare, ognuno caratterizzato dai suoi elementi e dai suoi bibliotecari, ognuna con dei libri che altrove non ci sono. C'è la biblioteca nei vecchi bagni pubblici, ce n'è una in un mulino, una un una cascina, una era in una caserma, due sono in sontuose ville, molte risiedono in piccoli parchi oasi di verde e tranquillità, tutte vale la pena di andarci, per un libro ed anche per la biblioteca stessa.

martedì 14 aprile 2009

Toccare il Villaggio Leumann: l'OTA

Giovedì 16 aprile verrà inaugurata la mostra “Toccare il Villaggio Leumann” (dal 16 al 26 aprile alla Scuola del Villaggio Leumann), in cui verranno presentati gli esiti del workshop “Comunicazione multisensoriale dell'architettura” redatti dagli studenti della facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Il corso è stato organizzato da Piergiorgio Tosoni (Politecnico di Torino) con Cristina Azzolino (Lamsa) ed Angela Lacirignola (Latec) in collaborazione con Giulia Maccarone (arestudio) e Rocco Rolli (Tactile Vision). La mostra propone le architetture del Villaggio Leumann sotto forma di disegno in rilievo, “una forma di disegno ad uso specifico di chi ha gravi difficoltà di vista che sfrutta le potenzialità di percezione aptica, cioè subordinata al tatto, degli esseri umani. L'aspetto molto interessante è il ruolo del disegnatore, che svolge il ruolo di mediatore fra gli oggetti da rappresentare e un interlocutore sintonizzato su lunghezze d'onda non sempre facili da individuare. Ecco allora che il disegno in rilievo, oltre ad imporre l'assunzione di un codice rappresentativo particolare, richiede uno sforzo specifico di interpretazione della realtà circostante, inteso a selezionare gli elementi essenziali e, nello stesso tempo, quelli più facilmente rappresentabili attraverso tale codice.” (Tactile Vision).
Bene inizia ufficialmente il terzo post, che sarà molto più scapestrato del secondo (che poi ufficalmente effettivamente era il primo), se avete voglia di approfondire l'argomento di cui sopra la mostra potrebbe essere un momento decisamente interessante e stimolante. Ritornando al titolo del post, la prima parte è stata spiegata, la seconda resta ancora un mistero. In realtà la mostra è soltanto un pretesto ed un esempio effettivo per introdurre un argomento che ci sta a cuore, l'Originale Trasmissione dell'Architettura (OTA). E qui incominciano i problemi, soprattutto perchè OTA non significa praticamente nulla nel mondo reale, ma è un acronimo simpatico per spiegare alcuni concetti che ci stanno a cuore. Nel post precedente si era cercato di affrontare il tema del racconto dell'architettura ed in particolare della città. La marginalità di Curitiba offriva dei simpatici spunti di riflessione circa la sostenibilità ambientale, economica ed umana delle nostre città europee, può darsi che la marginalità della mostra di Collegno possa darci delle indicazioni interessanti circa la possibilità di trasmettere l'architettura e la sua importanza anche a chi di architettura non ne mastica molta.

L'architettura (era) di tutti

Non si può negare che l'arte e l'architettura erano divenute fini a se stesse, sul puro piano estetico, perché avevano perduto il contatto col popolo e con la comunità durante la rivoluzione industriale
W. Gropius, Architettura integrata, 1963

Diceva Bruno Zevi “..c'è un'incapacità da parte degli architetti, degli storici dell'architettura e dei critici d'arte a farsi portatori del messaggio edilizio, a diffondere l'amore dell'architettura nella massa...”. Lui lo diceva circa sessant'anni fa e le sue parole sembrano ancora attuali. Molto probabilmente Zevi era memore del fatto che in altre epoche il problema non si poneva, le masse magari non avevano bene in mente cosa fosse l'architettura, ma non hanno mai smesso di costruire quelli che sono ora i centri storici delle città italiane e relativi monumenti. Potremmo prendere ad esempio di ciò i centri storici di epoca medievale di molte città italiane (Bologna per dirne una) e magari la chiesa di San Giovanni di Sinis (qui trovate tutta l'esegesi dell'edificio a cura di S. Mirti e relativa immagine e link). É esistito quindi un periodo in cui l'architettura era un fatto collettivo e ciò che ne è rimasto è l'immagine unitaria della collettività dell'epoca.
Succede poi con il rinascimento e con l'epoca barocca che la collettività viene a poco a poco privata del suo ruolo generatore trasformandosi in semplice spettatrice, dal momento che al potere decisionale collettivo prevale il potere dei singoli signorotti locali (la cosiddetta committenza, che paga la commissione ai suoi artisti per realizzare opere di pregio che aumentano il prestigio del suddetto signorotto) fino a trasformarsi in vittima dell'inurbamento a partire dalla rivoluzione industriale fino ai giorni nostri (periferie degradate, banlieue, slums etc). In pratica la collettività (che aveva trovato nelle città una simpatica soluzione a molti dei problemi che si erano manifestati dopo la dissoluzione dell'impero romano) diviene nel giro di circa 600 anni vittima della città stessa e delle sue architetture e non è in grado né di comprendere i motivi ed i processi che l'hanno costretta a questa situazione né tanto meno di porsi in maniera critica nei confronti di chi la città la progetta e la disegna (ingegneri ed architetti ma anche politici ed impresari)

La situazione attuale

Con più della metà della popolazione mondiale che vive in centri urbani e di questa circa un terzo in condizioni non propriamente salubri, verrebbe da chiedersi coma mai se la città era nata come risolutrice di alcuni problemi le cose non sono poi andate per il verso giusto, nonostante i molti tentativi per rendere le cose un po' migliori. In generale un'attenta analisi degli ultimi 60 anni potrebbe farci anche preoccupare: dai fasti del piano Fanfani ai palazzinari al governo, dal boom economico alla crisi economica, dal grande Torino al Toro in B, dalla globalizzazione al global warming, dai soldi nel materasso alla finanza creativa etc.. . Sarà mica che tutti questi elementi possano farci pensare che un cambio di rotta non solo è auspicabile ma sembra anche doveroso? E non è che anche in architettura (dopo 15 e più anni di cagate cosmiche) si possa in qualche modo cambiare qualche cosuccia per evitare il tracollo del sistema città?

UIA 2008 Transmitting Architecture

Quei volponi degli architetti sono tra quelli che, dopo un'attenta analisi degli ultimi 60 anni, hanno cominciato a fare propri (in parte) principi come la sostenibilità, l'utilizzo di risorse energetiche alternative etc ma si sono accorti anche che la situazione gli è un po' sfuggita di mano, la speculazione edilizia ha favorito a rendere la componente economica preponderante e il resto è un po' passato in secondo piano. Allora hanno indetto un congresso mondiale interrogandosi su come poter diffondere e trasmettere l'architettura alle masse in maniera da rendere sensibili e consapevoli i fruitori degli edifici e delle città tentando di limitare la componente speculativa in favore di altri componenti più nobili e utili. Non so se si nota l’assonanza tra OTA e Transmitting Architecture... bhè in effetti un pochetto si nota, ancora di più tra OTA e TAO (Transmitting Architecture Organ), una simpatica rivistuola gratuita dell’OAT (ordine degli architetti della Provincia di Torino, sti cazz’e acronimi so’ tutt’uguali), che si pone come spin off dell’UIA 2008 nell’ambito di trasmettere la città sostenibile, un progetto internazionale per comunicare i valori della sostenibilità. Bhè detto ciò leggetevi il primo numero di TAO magazine che sviscera la questione sicuramente meglio di me!

... continua prossimamente in Open Source Architecture ... forse ...

mercoledì 1 aprile 2009

Curitiba: Miss Liceo in Brasile

Il primo post effettivo è il racconto di una città. La città in cui è nata l'idea di AfHU. Il racconto di una città non è facile. Non c'è la trama, non ci sono i personaggi, il tempo non ha importanza, i luoghi sono preponderanti. Ma esiste comunque qualche possibilità per raccontare e descrivere la città. Si può prendere in mano un santino di Aldo Rossi affidandosi a lui nella speranza che a lavoro ultimato non si rivolti nella tomba, si può raccontare con le parole di Marco Polo davanti a Khubilai Khan oppure si può affidare a un'immagine eloquente la descrizione dell'immagine della città stessa, sperando che l'immagine scelta riesca a descriverne tutte le sfaccettature, le sfumature, le zone d'ombra. Forse allora Curitiba sarebbe Miss Liceo in Brasile.

È molto ben organizzata” mi aveva detto Luciano “ma le ragazze sono un po' così, sono un po' caipira”, chissà poi che cosa voleva dire caipira, ma chissà anche che cosa intendeva con ben organizzata. Anche Fabio me ne aveva parlato “Ah è bella eh” ah si? “Si si, bella pulita, non è come qui, mi piace”. Mi avvicinavo ad una bella città ben organizzata. Non sapevo cosa pensare. Nei giorni precedenti avevo curiosato un po' su internet, giusto per capire dove stavo andando, e scopro che Curitiba è la capitale ecologica del Brasile. Non pensavo ci fosse una capitale ecologica in Brasile. Una media di 51,5 mq di verde pubblico per abitante, un innovativo sistema di trasporto urbano realizzato e partire dagli anni '70 ed in continua evoluzione, la prima isola pedonale del mondo, un'attenzione particolare per la conservazione della memoria della città e dei suoi flussi migratori e del patrimonio architettonico, uno sviluppo urbano incentrato sulla decentralizzazione dei servizi e sulla sostenibilità, il tutto guardando al futuro senza dimenticare il passato. Una città modello da 2 milioni di abitanti nascosta tra le montagne del Paranà. L'El Dorado degli architetti. Non ero ancora partito e già mi innamoravo di lei.

On the road...

Il pullman scivolava sulla carreggiata assolata verso la stazione di arrivo. A centro strada le due corsie preferenziali riservate agli Expressos Biarticulados arancioni che si contendono la strada con i ciclisti e si fermano alle stazioni a forma di tubo piene di gente che aspetta diligente il proprio turno. È la materializzazione della RIT (Rede Integrada de Transporte ) davanti ai miei occhi, la rete di trasporto pubblico che si dirama per la città unendo le parti periferiche al centro. Su wikipedia avevo anche trovato una cartina che ne spiegava il funzionamento con segnate tutte le fermate. Sembrava fosse la cartina della metropolitana di una grande città europea, era l'esemplificazione dei percorsi degli autobus di linea. Nei tubi si aspetta ognuno davanti ad una porta per entrarci si inserisce il biglietto e si attraversa il tornello, arriva l'autobus e si aprono le porte in corrispondenza a quelle dell'autobus, sembra incredibile ma se piove non ci si bagna, o perlomeno ci si bagna poco. Passeggiando in giro, mezzi pubblici e nei marciapiedi si avverte che poi wikipedia non sbagliava di tanto.

Jaime Lerner e l'IPPUC

Ma le sensazioni sono strane, difficilmente interpretabili. Aveva ragione Luciano, è ben organizzata. Ma da chi? Jaime Lerner è comunemente indicato come il maggiore responsabile dell'attuale conformazione della città. Leggendo qua e là si scopre che già a partire dal 1965 il Comune organizzava seminari pubblici aperti a tutta la popolazione per discutere del Plano Preliminar de Urbanismo, successivamente elaborato dall'IPPUC sotto la direzione del suddetto Jaime Lerner. Dal 1965 ad oggi la popolazione di Curitiba è quadruplicata e le soluzioni urbane e sociali non hanno fatto altro che evolversi, rivolgendosi alla decentralizzazione ed al miglioramento dei servizi pubblici, allo sviluppo eco-sostenibile, alla rifunzionalizzazione delle aree produttive dismesse, alla preservazione delle memoria storica del territorio e dei suoi monumenti, al miglioramento della qualità della vita dei suoi abitanti. Praticamente pensando a tutto. Una città abitata da cittadini partecipativi governata da individui illuminati e competenti presa a modello più meno da tutte le altre città del mondo (basta pensare alla prima isola pedonale del mondo, ma anche la RIT è stata imitata, Transmilenio a Bogotà e l'Orange Line di Los Angeles).

Miss Liceo in Brasile

Non si riesce a capacitarsi dell'esistenza di Curitiba. È come vedere Miss Liceo passare nei corridoi della scuola, tutto il mondo si fermava, gli sguardi maschili in cerimoniosa contemplazione ed ebete ammirazione, gli sguardi femminili in vile atteggiamento di sdegnosa superiorità a nascondere un'astiosa invidia. Prendeva pure dei bei voti. L'unica consolazione è che Miss Liceo era perlopiù una stronza, così come le ragazze di Curitiba sono un po' caipira.





sabato 14 marzo 2009

Architecture for Human Beings


Se ce l'avessero detto non ci avremmo creduto. Ce l'hanno detto e inizialmente non ci abbiamo creduto. Il sogno segreto di ogni architetto è voler cambiare il mondo. Ora non solo ci crediamo ma ne siamo, nostro malgrado, anche convinti. La voglia di cambiare rimane ma la direzione da prendere rimane sconosciuta. AfHU è il cassetto delle croste, è il contenitore del vorrei ma non posso/non riesco/non sono capace/non è tempo, è la raccolta di alcune riflessioni e idee che nel loro piccolo potrebbero essere lo strumento per rivoluzionare il pianeta ma più probabilmente sono solo fotogrammi subliminali di un colossal hollywoodiano. AfHU è un sentimento passeggero che elude i temi da rivista patinata di architettura e si prende a cuore le aree marginali, le residenze informali, la sostenibilità ambientale ed economica, le piste ciclabili, i territori critici, il bagno della zia Maria e il balcone verandato di nonno Antonio, si occupa delle idee che potrebbero essere la soluzione degli interrogativi di domani che sono già i problemi di oggi. AfHU è progetto che probabilmente non sarà mai realizzato ma che ci siamo divertiti a fare.