martedì 14 aprile 2009

Toccare il Villaggio Leumann: l'OTA

Giovedì 16 aprile verrà inaugurata la mostra “Toccare il Villaggio Leumann” (dal 16 al 26 aprile alla Scuola del Villaggio Leumann), in cui verranno presentati gli esiti del workshop “Comunicazione multisensoriale dell'architettura” redatti dagli studenti della facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Il corso è stato organizzato da Piergiorgio Tosoni (Politecnico di Torino) con Cristina Azzolino (Lamsa) ed Angela Lacirignola (Latec) in collaborazione con Giulia Maccarone (arestudio) e Rocco Rolli (Tactile Vision). La mostra propone le architetture del Villaggio Leumann sotto forma di disegno in rilievo, “una forma di disegno ad uso specifico di chi ha gravi difficoltà di vista che sfrutta le potenzialità di percezione aptica, cioè subordinata al tatto, degli esseri umani. L'aspetto molto interessante è il ruolo del disegnatore, che svolge il ruolo di mediatore fra gli oggetti da rappresentare e un interlocutore sintonizzato su lunghezze d'onda non sempre facili da individuare. Ecco allora che il disegno in rilievo, oltre ad imporre l'assunzione di un codice rappresentativo particolare, richiede uno sforzo specifico di interpretazione della realtà circostante, inteso a selezionare gli elementi essenziali e, nello stesso tempo, quelli più facilmente rappresentabili attraverso tale codice.” (Tactile Vision).
Bene inizia ufficialmente il terzo post, che sarà molto più scapestrato del secondo (che poi ufficalmente effettivamente era il primo), se avete voglia di approfondire l'argomento di cui sopra la mostra potrebbe essere un momento decisamente interessante e stimolante. Ritornando al titolo del post, la prima parte è stata spiegata, la seconda resta ancora un mistero. In realtà la mostra è soltanto un pretesto ed un esempio effettivo per introdurre un argomento che ci sta a cuore, l'Originale Trasmissione dell'Architettura (OTA). E qui incominciano i problemi, soprattutto perchè OTA non significa praticamente nulla nel mondo reale, ma è un acronimo simpatico per spiegare alcuni concetti che ci stanno a cuore. Nel post precedente si era cercato di affrontare il tema del racconto dell'architettura ed in particolare della città. La marginalità di Curitiba offriva dei simpatici spunti di riflessione circa la sostenibilità ambientale, economica ed umana delle nostre città europee, può darsi che la marginalità della mostra di Collegno possa darci delle indicazioni interessanti circa la possibilità di trasmettere l'architettura e la sua importanza anche a chi di architettura non ne mastica molta.

L'architettura (era) di tutti

Non si può negare che l'arte e l'architettura erano divenute fini a se stesse, sul puro piano estetico, perché avevano perduto il contatto col popolo e con la comunità durante la rivoluzione industriale
W. Gropius, Architettura integrata, 1963

Diceva Bruno Zevi “..c'è un'incapacità da parte degli architetti, degli storici dell'architettura e dei critici d'arte a farsi portatori del messaggio edilizio, a diffondere l'amore dell'architettura nella massa...”. Lui lo diceva circa sessant'anni fa e le sue parole sembrano ancora attuali. Molto probabilmente Zevi era memore del fatto che in altre epoche il problema non si poneva, le masse magari non avevano bene in mente cosa fosse l'architettura, ma non hanno mai smesso di costruire quelli che sono ora i centri storici delle città italiane e relativi monumenti. Potremmo prendere ad esempio di ciò i centri storici di epoca medievale di molte città italiane (Bologna per dirne una) e magari la chiesa di San Giovanni di Sinis (qui trovate tutta l'esegesi dell'edificio a cura di S. Mirti e relativa immagine e link). É esistito quindi un periodo in cui l'architettura era un fatto collettivo e ciò che ne è rimasto è l'immagine unitaria della collettività dell'epoca.
Succede poi con il rinascimento e con l'epoca barocca che la collettività viene a poco a poco privata del suo ruolo generatore trasformandosi in semplice spettatrice, dal momento che al potere decisionale collettivo prevale il potere dei singoli signorotti locali (la cosiddetta committenza, che paga la commissione ai suoi artisti per realizzare opere di pregio che aumentano il prestigio del suddetto signorotto) fino a trasformarsi in vittima dell'inurbamento a partire dalla rivoluzione industriale fino ai giorni nostri (periferie degradate, banlieue, slums etc). In pratica la collettività (che aveva trovato nelle città una simpatica soluzione a molti dei problemi che si erano manifestati dopo la dissoluzione dell'impero romano) diviene nel giro di circa 600 anni vittima della città stessa e delle sue architetture e non è in grado né di comprendere i motivi ed i processi che l'hanno costretta a questa situazione né tanto meno di porsi in maniera critica nei confronti di chi la città la progetta e la disegna (ingegneri ed architetti ma anche politici ed impresari)

La situazione attuale

Con più della metà della popolazione mondiale che vive in centri urbani e di questa circa un terzo in condizioni non propriamente salubri, verrebbe da chiedersi coma mai se la città era nata come risolutrice di alcuni problemi le cose non sono poi andate per il verso giusto, nonostante i molti tentativi per rendere le cose un po' migliori. In generale un'attenta analisi degli ultimi 60 anni potrebbe farci anche preoccupare: dai fasti del piano Fanfani ai palazzinari al governo, dal boom economico alla crisi economica, dal grande Torino al Toro in B, dalla globalizzazione al global warming, dai soldi nel materasso alla finanza creativa etc.. . Sarà mica che tutti questi elementi possano farci pensare che un cambio di rotta non solo è auspicabile ma sembra anche doveroso? E non è che anche in architettura (dopo 15 e più anni di cagate cosmiche) si possa in qualche modo cambiare qualche cosuccia per evitare il tracollo del sistema città?

UIA 2008 Transmitting Architecture

Quei volponi degli architetti sono tra quelli che, dopo un'attenta analisi degli ultimi 60 anni, hanno cominciato a fare propri (in parte) principi come la sostenibilità, l'utilizzo di risorse energetiche alternative etc ma si sono accorti anche che la situazione gli è un po' sfuggita di mano, la speculazione edilizia ha favorito a rendere la componente economica preponderante e il resto è un po' passato in secondo piano. Allora hanno indetto un congresso mondiale interrogandosi su come poter diffondere e trasmettere l'architettura alle masse in maniera da rendere sensibili e consapevoli i fruitori degli edifici e delle città tentando di limitare la componente speculativa in favore di altri componenti più nobili e utili. Non so se si nota l’assonanza tra OTA e Transmitting Architecture... bhè in effetti un pochetto si nota, ancora di più tra OTA e TAO (Transmitting Architecture Organ), una simpatica rivistuola gratuita dell’OAT (ordine degli architetti della Provincia di Torino, sti cazz’e acronimi so’ tutt’uguali), che si pone come spin off dell’UIA 2008 nell’ambito di trasmettere la città sostenibile, un progetto internazionale per comunicare i valori della sostenibilità. Bhè detto ciò leggetevi il primo numero di TAO magazine che sviscera la questione sicuramente meglio di me!

... continua prossimamente in Open Source Architecture ... forse ...

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