L'architettura (era) di tutti
Non si può negare che l'arte e l'architettura erano divenute fini a se stesse, sul puro piano estetico, perché avevano perduto il contatto col popolo e con la comunità durante la rivoluzione industriale
Diceva Bruno Zevi “..c'è un'incapacità da parte degli architetti, degli storici dell'architettura e dei critici d'arte a farsi portatori del messaggio edilizio, a diffondere l'amore dell'architettura nella massa...”. Lui lo diceva circa sessant'anni fa e le sue parole sembrano ancora attuali. Molto probabilmente Zevi era memore del fatto che in altre epoche il problema non si poneva, le masse magari non avevano bene in mente cosa fosse l'architettura, ma non hanno mai smesso di costruire quelli che sono ora i centri storici delle città italiane e relativi monumenti. Potremmo prendere ad esempio di ciò i centri storici di epoca medievale di molte città italiane (Bologna per dirne una) e magari la chiesa di San Giovanni di Sinis (qui trovate tutta l'esegesi dell'edificio a cura di S. Mirti e relativa immagine e link). É esistito quindi un periodo in cui l'architettura era un fatto collettivo e ciò che ne è rimasto è l'immagine unitaria della collettività dell'epoca.
Succede poi con il rinascimento e con l'epoca barocca che la collettività viene a poco a poco privata del suo ruolo generatore trasformandosi in semplice spettatrice, dal momento che al potere decisionale collettivo prevale il potere dei singoli signorotti locali (la cosiddetta committenza, che paga la commissione ai suoi artisti per realizzare opere di pregio che aumentano il prestigio del suddetto signorotto) fino a trasformarsi in vittima dell'inurbamento a partire dalla rivoluzione industriale fino ai giorni nostri (periferie degradate, banlieue, slums etc). In pratica la collettività (che aveva trovato nelle città una simpatica soluzione a molti dei problemi che si erano manifestati dopo la dissoluzione dell'impero romano) diviene nel giro di circa 600 anni vittima della città stessa e delle sue architetture e non è in grado né di comprendere i motivi ed i processi che l'hanno costretta a questa situazione né tanto meno di porsi in maniera critica nei confronti di chi la città la progetta e la disegna (ingegneri ed architetti ma anche politici ed impresari)
La situazione attuale
Con più della metà della popolazione mondiale che vive in centri urbani e di questa circa un terzo in condizioni non propriamente salubri, verrebbe da chiedersi coma mai se la città era nata come risolutrice di alcuni problemi le cose non sono poi andate per il verso giusto, nonostante i molti tentativi per rendere le cose un po' migliori. In generale un'attenta analisi degli ultimi 60 anni potrebbe farci anche preoccupare: dai fasti del piano Fanfani ai palazzinari al governo, dal boom economico alla crisi economica, dal grande Torino al Toro in B, dalla globalizzazione al global warming, dai soldi nel materasso alla finanza creativa etc.. . Sarà mica che tutti questi elementi possano farci pensare che un cambio di rotta non solo è auspicabile ma sembra anche doveroso? E non è che anche in architettura (dopo 15 e più anni di cagate cosmiche) si possa in qualche modo cambiare qualche cosuccia per evitare il tracollo del sistema città?
UIA 2008 Transmitting Architecture
Quei volponi degli architetti sono tra quelli che, dopo un'attenta analisi degli ultimi 60 anni, hanno cominciato a fare propri (in parte) principi come la sostenibilità, l'utilizzo di risorse energetiche alternative etc ma si sono accorti anche che la situazione gli è un po' sfuggita di mano, la speculazione edilizia ha favorito a rendere la componente economica preponderante e il resto è un po' passato in secondo piano. Allora hanno indetto un congresso mondiale interrogandosi su come poter diffondere e trasmettere l'architettura alle masse in maniera da rendere sensibili e consapevoli i fruitori degli edifici e delle città tentando di limitare la componente speculativa in favore di altri componenti più nobili e utili. Non so se si nota l’assonanza tra OTA e Transmitting Architecture... bhè in effetti un pochetto si nota, ancora di più tra OTA e TAO (Transmitting Architecture Organ), una simpatica rivistuola gratuita dell’OAT (ordine degli architetti della Provincia di Torino, sti cazz’e acronimi so’ tutt’uguali), che si pone come spin off dell’UIA 2008 nell’ambito di trasmettere la città sostenibile, un progetto internazionale per comunicare i valori della sostenibilità. Bhè detto ciò leggetevi il primo numero di TAO magazine che sviscera la questione sicuramente meglio di me!
... continua prossimamente in Open Source Architecture ... forse ...