sabato 3 dicembre 2011

Uscire dalla pàuta


Un piccolo articolo che ho scritto per un corso che sto seguendo. Noioso quanto basta per poter essere definito vagamente accademico...


Dopo essere stata città industriale, città post-industriale e infine città olimpica sembra che Torino debba nuovamente inventarsi il proprio futuro la propria immagine e ridefinire le proprie linee di sviluppo. Piani e strategie che fino ad ieri avevano funzionato come propulsori di trasformazioni urbane oggi sembrano non avere più la spinta necessaria per garantire sviluppo. A questo panorama si aggiunge inoltre la congiuntura economica non favorevole e un ridimensionamento considerevole dell'attore pubblico in termini di legittimazione e potere di investimento. In poche parole potremmo dire che c'è crisi, non solo in termini meramente economici.

CRISI [crì-si]:
1) Deterioramento di una condizione oggettiva con conseguente instabilità socio-politica e decadenza delle istituzioni civili; turbamento della pacifica convivenza, della vita in comune
2) Periodo caratterizzato da una caduta della produzione, da disoccupazione, scarsa utilizzazione degli impianti, riduzione degli investimenti

L'invecchiamento o l'esaurimento degli strumenti di pianificazione, la mancanza di risorse e la sostanziale incapacità di comunicazione e collaborazione tra gli attori principali delle trasformazioni (che nella società dell'informazione e della comunicazione esasperata non sembrano in grado di comunicare tra loro in termini costruttivi, ma perlopiù in termini caotici e controproducenti) sono alcuni dei fattori che hanno portato allo stato di sostanziale impasse nella quale ci troviamo.
Nel tentativo di provare a delineare alcuni punti di una possibile agenda di sviluppo e trasformazione urbana di Torino, mi soffermerò principalmente sul ruolo che architetti e università potrebbero avere nella definizione di un futuro che dovrà necessariamente basarsi su paradigmi diversi da quelli utilizzati finora per la gestione e il governo del territorio.
In particolare, pare sempre di più che il ruolo dell'architetto non sia unicamente quello di progettista, capace di rendere realtà le necessità programmatiche di un'eventuale committenza, ma che la sua figura si muova sempre più nel limbo che precede progetto e programma. Sia diventato insomma un creatore e uno scopritore di opportunità e occasioni, dalle quali sarà possibile in un secondo momento dedurne un'esperienza di tipo progettuale.

OPPORTUNITA' [op-por-tu-ni-tà]
1) Caratteristica di ciò che è o che appare favorevole al verificarsi di qualcosa
2) Occasione, circostanza favorevole

Se da un lato è possibile creare visioni e figurazioni di impatto sul futuro (e le avanguardie architettoniche di inizio secolo scorso ne hanno dato dimostrazione), dall'altro è molto difficile trasformare una visione in un'opportunità reale, con un reale margine di operatività. Ancora più difficile è gestire in maniera autonoma un fenomeno che parte da un'idea e si sviluppa in un complicato processo edilizio. Processo che vede l'architetto come attore sempre presente e attivo in ogni fase, che oltre progettare e dirigere la costruzione di un edificio svolge anche un ruolo che potremmo definire di facilitatore o di gestore del processo. Il problema principale è che questo tipo di ruolo, allo stato attuale delle cose, prevede un dispendio di energie e di risorse che non sono assolutamente sostenibili. Il sistema complesso nel quale ci si muove (che è la città) contiene al suo interno un numero assai elevato di attori e di agenti che si fanno promotori di trasformazioni urbane, per il quale è impensabile che il progettista da solo sia in grado di governare le trasformazioni. Progettisti, costruttori, privati cittadini, amministrazioni locali e sovralocali e investitori svolgono ruoli diversi e complementari nel campo dello sviluppo del territorio urbano, ma come fare per garantire che la dialettica tra le varie parti possa svilupparsi in termini positivi e propositivi superando il vuoto e la pochezza di intercomunicazione attuale?
Si devono porre le basi affinché cambi radicalmente l'atteggiamento attraverso il quale le parti in causa si approcciano ai processi di trasformazione, aumentando lo scambio reciproco tra le parti e ridisegnando le gerarchie in senso più elastico ed equilibrato. Trasformare il dialogo unidirezionale a fasi tra le parti (e in questo senso l'immagine del gioco dell'oca è particolarmente efficace) in un'esperienza interattiva dove non esiste un sistema rigido (e in questo senso un piano regolatore all'interno del quale è necessario operare in continua variante è un sistema rigido) ma un sistema in grado di recepire e assorbire le istanze dei vari attori incentivando e sviluppando un dialogo proficuo.

INTERATTIVITA' [in-te-rat-ti-vi -tà]
1) Caratteristica di un sistema che fa partecipare attivamente chi lo usa, e adegua il suo funzionamento all'intervento dell'utente

A questo proposito vorrei citare due esempi che mi sembrano significativi. Il primo è costituito dal sistema di gestione del territorio attualmente vigente nel Regno Unito. All'indirizzo web http://www.planningportal.gov.uk è possibile reperire alcune informazioni circa il suo funzionamento, ma traducendo la descrizione del portale già si evincono alcune informazioni :

Benvenuti nel Portale Pianificazione - il primo approdo per tutti coloro che vogliono scoprire il sistema di pianificazione in Inghilterra e Galles. Il nostro obiettivo è di fornire uno sportello fornendo risposte, servizi e informazioni a chiunque sia coinvolto nel processo di pianificazione - dai proprietari di casa e alle aziende, agli investitori, professionisti e funzionari governativi.
Dal momento che il sistema di pianificazione  si evolve e aggiorna, il Portale sarà lì per guidare tutti gli utenti attraverso il processo.

per le quali forse risulta più chiaro il concetto di ridisegno delle gerarchie e di strumento elastico. Senza voler fare un paragone con il sistema italiano (per chi vuole si può consultare su http://www.comune.torino.it/ediliziaprivata/ e scoprire come funziona lo sportello per l'edilizia a Torino) è interessante vedere come questo tipo di approccio, nel momento in cui le trasformazioni vengono proposte, non genera articoli sui giornali e dibatti infuocati e sterili ma iniziative imprenditoriali di larghe vedute e ampio impatto urbano, come ad esempio http://www.myearlscourt.com/, enorme iniziativa edilizia al momento al vaglio della consultazione pubblica che si pone in maniera interlocutoria nei confronti di cittadini e amministrazione non riducendo il dibattito a pochi importanti attori ma ampliandolo il più possibile. Per una completare il quadro è necessario ancora citare http://www.planninghelp.org.uk/, il servizio di supporto al cittadino nei grandi processi di trasformazione del territorio.
Oltre all'esempio Inglese che per distanza non solo geografica resta forse un po' avulso dal sistema nostrano (ma comunque interessante per il tipo di meccanismi che mette in atto) vorrei anche citare il Piano dei Servizi per la città di Milano, sviluppato da Id-Lab all'interno del più ampio Piano di Governo del Territorio. Scrive Stefano Mirti (progettista presso Id-Lab) a proposito della strutturazione del piano dei servizi (il riferimento web è http://www.milanoperscelta.it/):


“...Detto diverso, lavorare al piano dei servizi è stato un lavoro lungo e intenso che ci ha costretti a ripensare completamente il meccanismo di funzionamento dell’erogazione dei servizi stessi da parte del soggetto pubblico. Rispetto alla modalità tradizionale (che si concentra sul risultato finale), abbiamo preferito lavorare sul processo, su un possibile meccanismo grazie al quale si riesca a monitorare in maniera costante la vita della città, i bisogni e i desideri, trasferendo queste informazioni a un piano dei servizi che si aggiusta continuamente in funzione delle continue mutazioni del vivere della grande città. In sintesi estrema, il piano dei servizi non genera una fotografia ideale verso la quale spingere la città futura, quanto piuttosto un set di regole che ci consentono di aggiustare i servizi rispetto alle modifiche reali e fattuali che trasformano la metropoli (avendo come riferimento principale una linea delle ascisse che lavora secondo parametri di tipo temporale).”

In conclusione è necessario dismettere l'idea di riduzione necessaria della complessità (che si traduce in piani costituiti da indici e retini che ma necessita di continue varianti per essere attuato in maniera efficace) che ha pochissimi punti di contatto con la nozione di città e abbracciare l'idea che strumenti nuovi e inclusivi saranno la chiave per la gestione dello sviluppo e delle trasformazioni urbane. È necessario quindi progettare nella e per la complessità di una comunità e del territorio in cui si inserisce, valorizzando la diversità degli attori sociali e favorendo la costruzione sorta diintelligenza collettivabasata su uno scambio reciproco e quindi aperta e tollerante.

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