Un piccolo articolo che ho scritto per un corso che sto seguendo. Noioso quanto basta per poter essere definito vagamente accademico...
Dopo
essere
stata
città
industriale,
città
post-industriale
e
infine
città
olimpica
sembra
che
Torino
debba
nuovamente
inventarsi
il
proprio
futuro
la
propria
immagine
e
ridefinire
le
proprie
linee
di
sviluppo.
Piani
e
strategie
che
fino
ad
ieri
avevano
funzionato
come
propulsori
di
trasformazioni
urbane
oggi
sembrano
non
avere
più
la
spinta
necessaria
per
garantire
sviluppo.
A
questo
panorama
si
aggiunge
inoltre
la
congiuntura
economica
non
favorevole
e
un
ridimensionamento
considerevole
dell'attore
pubblico
in
termini
di
legittimazione
e
potere
di
investimento.
In
poche
parole
potremmo
dire
che
c'è
crisi,
non
solo
in
termini
meramente
economici.
CRISI [crì-si]:
1) Deterioramento di una condizione oggettiva con conseguente instabilità socio-politica e decadenza delle istituzioni civili; turbamento della pacifica convivenza, della vita in comune
2) Periodo caratterizzato da una caduta della produzione, da disoccupazione, scarsa utilizzazione degli impianti, riduzione degli investimenti
L'invecchiamento
o
l'esaurimento
degli
strumenti
di
pianificazione,
la
mancanza
di
risorse
e
la
sostanziale
incapacità
di
comunicazione
e
collaborazione
tra
gli
attori
principali
delle
trasformazioni
(che
nella
società
dell'informazione
e
della
comunicazione
esasperata
non
sembrano
in
grado
di
comunicare
tra
loro
in
termini
costruttivi,
ma
perlopiù
in
termini
caotici
e
controproducenti)
sono
alcuni
dei
fattori
che
hanno
portato
allo
stato
di
sostanziale
impasse
nella
quale
ci
troviamo.
Nel
tentativo
di
provare
a
delineare
alcuni
punti
di
una
possibile
agenda
di
sviluppo
e
trasformazione
urbana
di
Torino,
mi
soffermerò
principalmente
sul
ruolo
che
architetti
e
università
potrebbero
avere
nella
definizione
di
un
futuro
che
dovrà
necessariamente
basarsi
su
paradigmi
diversi
da
quelli
utilizzati
finora
per
la
gestione
e
il
governo
del
territorio.
In
particolare,
pare
sempre
di
più
che
il
ruolo
dell'architetto
non
sia
unicamente
quello
di
progettista,
capace
di
rendere
realtà
le
necessità
programmatiche
di
un'eventuale
committenza,
ma
che
la
sua
figura
si
muova
sempre
più
nel
limbo
che
precede
progetto
e
programma.
Sia
diventato
insomma
un
creatore
e
uno
scopritore
di
opportunità
e
occasioni,
dalle
quali
sarà
possibile
in
un
secondo
momento
dedurne
un'esperienza
di
tipo
progettuale.
OPPORTUNITA' [op-por-tu-ni-tà]
1) Caratteristica di ciò che è o che appare favorevole al verificarsi di qualcosa
2) Occasione, circostanza favorevole
Se
da
un
lato
è
possibile
creare
visioni
e
figurazioni
di
impatto
sul
futuro
(e
le
avanguardie
architettoniche
di
inizio
secolo
scorso
ne
hanno
dato
dimostrazione),
dall'altro
è
molto
difficile
trasformare
una
visione
in
un'opportunità
reale,
con
un
reale
margine
di
operatività.
Ancora
più
difficile
è
gestire
in
maniera
autonoma
un
fenomeno
che
parte
da
un'idea
e
si
sviluppa
in
un
complicato
processo
edilizio.
Processo che vede l'architetto come attore
sempre
presente
e
attivo
in
ogni
fase,
che
oltre
progettare e dirigere la
costruzione
di
un edificio svolge
anche
un
ruolo
che
potremmo
definire
di
facilitatore
o
di
gestore
del
processo.
Il
problema
principale
è
che
questo
tipo
di
ruolo,
allo
stato
attuale
delle
cose,
prevede
un
dispendio
di
energie
e
di
risorse
che
non
sono
assolutamente
sostenibili.
Il
sistema
complesso
nel
quale
ci
si
muove
(che
è
la
città)
contiene
al
suo
interno
un
numero
assai
elevato
di
attori
e
di
agenti
che
si
fanno
promotori
di
trasformazioni
urbane,
per
il
quale
è
impensabile
che
il
progettista
da
solo
sia
in
grado
di
governare
le
trasformazioni.
Progettisti,
costruttori,
privati
cittadini,
amministrazioni
locali
e
sovralocali
e
investitori
svolgono
ruoli
diversi
e
complementari
nel
campo
dello
sviluppo
del
territorio
urbano,
ma
come
fare
per
garantire
che
la
dialettica
tra
le
varie
parti
possa
svilupparsi
in
termini
positivi
e
propositivi
superando
il
vuoto
e
la
pochezza
di
intercomunicazione
attuale?
Si
devono
porre
le
basi
affinché
cambi
radicalmente
l'atteggiamento
attraverso
il
quale
le
parti
in
causa
si
approcciano
ai
processi
di
trasformazione,
aumentando
lo
scambio
reciproco
tra
le
parti
e
ridisegnando
le
gerarchie
in
senso
più
elastico
ed
equilibrato.
Trasformare
il
dialogo
unidirezionale
a
fasi
tra
le
parti
(e
in
questo
senso
l'immagine
del
gioco
dell'oca
è
particolarmente
efficace)
in
un'esperienza
interattiva
dove
non
esiste
un
sistema
rigido
(e
in
questo
senso
un
piano
regolatore
all'interno
del
quale
è
necessario
operare
in
continua
variante
è
un
sistema
rigido)
ma
un
sistema
in
grado
di
recepire
e
assorbire
le
istanze
dei
vari
attori
incentivando
e
sviluppando
un
dialogo
proficuo.
INTERATTIVITA' [in-te-rat-ti-vi -tà]
1) Caratteristica di un sistema che fa partecipare attivamente chi lo usa, e adegua il suo funzionamento all'intervento dell'utente
A
questo
proposito
vorrei
citare
due
esempi
che
mi
sembrano
significativi.
Il
primo
è
costituito
dal
sistema
di
gestione
del
territorio
attualmente
vigente
nel
Regno
Unito.
All'indirizzo
web
http://www.planningportal.gov.uk
è
possibile
reperire
alcune
informazioni
circa
il
suo
funzionamento,
ma
traducendo
la
descrizione
del
portale
già
si
evincono
alcune
informazioni
:
Benvenuti nel Portale Pianificazione - il primo approdo per tutti coloro che vogliono scoprire il sistema di pianificazione in Inghilterra e Galles. Il nostro obiettivo è di fornire uno sportello fornendo risposte, servizi e informazioni a chiunque sia coinvolto nel processo di pianificazione - dai proprietari di casa e alle aziende, agli investitori, professionisti e funzionari governativi.
Dal momento che il sistema di pianificazione si evolve e aggiorna, il Portale sarà lì per guidare tutti gli utenti attraverso il processo.
per
le
quali
forse
risulta
più
chiaro
il
concetto
di
ridisegno
delle
gerarchie
e
di
strumento
elastico.
Senza
voler
fare
un
paragone
con
il
sistema
italiano
(per
chi
vuole
si
può
consultare
su
http://www.comune.torino.it/ediliziaprivata/
e
scoprire
come
funziona
lo
sportello
per
l'edilizia
a
Torino)
è
interessante
vedere
come
questo
tipo
di
approccio,
nel
momento
in
cui
le
trasformazioni
vengono
proposte,
non
genera
articoli
sui
giornali
e
dibatti
infuocati
e
sterili
ma
iniziative
imprenditoriali
di
larghe
vedute
e
ampio
impatto
urbano,
come
ad
esempio
http://www.myearlscourt.com/,
enorme
iniziativa
edilizia
al
momento
al
vaglio
della
consultazione
pubblica
che
si
pone
in
maniera
interlocutoria
nei
confronti
di
cittadini
e
amministrazione
non
riducendo
il
dibattito
a
pochi
importanti
attori
ma
ampliandolo
il
più
possibile.
Per
una
completare
il
quadro
è
necessario
ancora
citare
http://www.planninghelp.org.uk/,
il
servizio
di
supporto
al
cittadino
nei
grandi
processi
di
trasformazione
del
territorio.
Oltre
all'esempio
Inglese
che
per
distanza
non
solo
geografica
resta
forse
un
po'
avulso
dal
sistema
nostrano
(ma
comunque
interessante
per
il
tipo
di
meccanismi
che
mette
in
atto)
vorrei
anche
citare
il
Piano
dei
Servizi
per
la
città
di
Milano,
sviluppato
da
Id-Lab
all'interno
del
più
ampio
Piano
di
Governo
del
Territorio.
Scrive
Stefano
Mirti
(progettista
presso
Id-Lab)
a
proposito
della
strutturazione
del
piano
dei
servizi
(il
riferimento
web
è
http://www.milanoperscelta.it/):
“...Detto diverso, lavorare al piano dei servizi è stato un lavoro lungo e intenso che ci ha costretti a ripensare completamente il meccanismo di funzionamento dell’erogazione dei servizi stessi da parte del soggetto pubblico. Rispetto alla modalità tradizionale (che si concentra sul risultato finale), abbiamo preferito lavorare sul processo, su un possibile meccanismo grazie al quale si riesca a monitorare in maniera costante la vita della città, i bisogni e i desideri, trasferendo queste informazioni a un piano dei servizi che si aggiusta continuamente in funzione delle continue mutazioni del vivere della grande città. In sintesi estrema, il piano dei servizi non genera una fotografia ideale verso la quale spingere la città futura, quanto piuttosto un set di regole che ci consentono di aggiustare i servizi rispetto alle modifiche reali e fattuali che trasformano la metropoli (avendo come riferimento principale una linea delle ascisse che lavora secondo parametri di tipo temporale).”
In
conclusione
è
necessario
dismettere
l'idea
di
riduzione
necessaria
della
complessità
(che
si
traduce
in
piani
costituiti
da
indici
e
retini
che
ma
necessita
di
continue
varianti
per
essere
attuato
in
maniera
efficace)
che
ha
pochissimi
punti
di
contatto
con
la
nozione
di
città
e
abbracciare
l'idea
che
strumenti
nuovi
e
inclusivi
saranno
la
chiave
per
la
gestione
dello
sviluppo
e
delle
trasformazioni
urbane.
È
necessario
quindi
progettare
nella
e
per
la
complessità
di
una
comunità
e
del
territorio
in
cui
si
inserisce,
valorizzando
la
diversità
degli
attori
sociali
e
favorendo
la
costruzione
sorta
di
“intelligenza
collettiva”
basata
su
uno
scambio
reciproco
e
quindi
aperta
e
tollerante.
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